Bolivia: La vasta sommossa che porta al disastro


Raquel Gutiérrez Aguilar

Sono passate più di due settimane da quando il 20 ottobre si sono realizzate le elezioni in Bolivia e i fatti succedono con una enorme rapidità.

È molto complicato comprendere quello che là è in gioco, nelle vie e nelle strade della Bolivia oggi non si esprime solo una disputa elettorale ma, almeno, l’enorme ed eterogenea rabbia contro 10 anni di offese di Evo e del suo modo machista-leninista pseudo plurinazionale di organizzare il comando politico, l’economia e la vita pubblica.

*Per Nati, perché i suoi dubbi sono i miei

Tutta questa energia sociale di ribellione e contestazione di quello che la popolazione non è più disposta a continuare ad accettare, sta venendo assediata da una gigantesca manovra da parte delle più deliranti e machiste posizioni conservatrici, capitaliste, razziste e religiose.

Provo a dare una spiegazione: a filare fatti e narrative verificate perché, in questi momenti, si tratta di smontare la logica di polarizzazione, scontro e ch`ampaguerra, che oggi strazia le città e le regioni del paese. Si tratta anche di apprendere la ferocia di quello che si confronta.

1. Quello che non bisogna dimenticare

La Bolivia è da 10 anni afferrata in una frode. Da quando fu pattuita la Costituzione e la permanenza del latifondo con i proprietari terrieri dell’Oriente, ignorando quanto deliberato da un’ampia costellazione di deputati costituenti, uomini e donne, delle diverse nazionalità che abitano il paese. Anche questo, e bisogna anche ricordare: erano persone trasformate in costituenti attraverso la mediazione del partito MASista che non solo accettò e mantenne la rappresentanza di partito come unica forma dell’attività e della partecipazione politica, ma che si dette modalità -abili- di ignorare qualsiasi altra forma riguardo all’accorpamento politico negando, fin d’allora, l’ampliamento democratico. È questo, tra le molte, un ulteriore affronto.

2. Quello che bisogna tenere presente

Il 21 febbraio 2016 fu convocato un referendum con il quale si faceva una domanda agli uomini e alle donne boliviani maggiori d’età sulla rielezione di Evo per la quarta volta, contro e al di sopra del testo costituzionale, come dire, di quanto già pattuito nel 2009. E la Bolivia disse NO. No alla rielezione indefinita di un regime politico che promuoveva l’estrattivismo anche se con retorica antimperialista e rigidamente autoritario mentre vestiva anche la maschera plurinazionale. Un regime politico estrattivista, ferocemente anti-comunitario e misogino. Dopo, la ginnastica giuridica e argomentativa, relativa al “diritto politico” alla rielezione che occupò gli anni seguenti, offese tantissimi altri quando “autorizzò” Morales a rimanere indefinitamente al governo.

3. Il giorno delle elezioni

Il 20 ottobre 2019 ci sono state le elezioni. Si confrontavano vari candidati. I due con più possibilità, Evo Morales candidato dal MAS e Carlos Mesa dalla Comunità Cittadina, distinguibili nella forma presentavano, nonostante ciò, progetti economici che non differivano troppo: ampliamento dell’estrattivismo come cuore del funzionamento del paese.

La legge elettorale della Bolivia dichiara quanto segue: se nella contesa nessun candidato ottiene più del 50%, ci sarà un secondo turno elettorale nel caso in cui la differenza tra il primo e il secondo candidato più votato sia meno del 10%. I primi conteggi di quella domenica che oggi sembra così lontana segnalavano che ci sarebbe stato un secondo turno. Dicevano che il prossimo dicembre, Morales avrebbe dovuto affrontare Carlos Mesa -un ex vicepresidente di un governo neoliberale che nel 2003 fu abbattuto dalla mobilitazione comunitaria, indigena e popolare, ex presidente ad interim dell’epoca ribelle, ex presentatore di notizie- e la sua Comunità Cittadina -coalizione politica eterogenea organizzata negli ultimi anni. All’improvviso, alle 19:40, il conteggio si è fermato.

4. Che sempre non…

Il silenzio nel conteggio, senza alcuna spiegazione, ha causato un’enorme tensione sociale in un paese dove fino ad un decennio fa, un principio molto presente dell’attività politica comunitaria, popolare e sindacale era la rotazione delle persone nelle alte cariche, giustamente per fare attenzione a non rendere eterno qualcuno in qualità di “leader perpetuo”, come era avvento, decenni prima, con Juan Lechín nella Centrale Operaia Boliviana (COB). Questo ce lo tornano a ricordare oggi, un’altra volta, i mallkus (gli spiriti e le forze delle montagne rappresentati dal condor, ndt) e le mama t´allas (autorità donne che avevano anche divinità femminili proprie, ndt) della Nazione Qhara Qhara che enunciano con forza che, di questo si tratta, nessuno diventi indispensabile e si abbarbichi al potere.

Alcuni, dopo il silenzio nel conteggio dei voti hanno cominciato a dire “frode”; altri hanno deciso di dire “vinciamo”. Il malessere si è acutizzato ed è stato allora, che i Comitati civici -e in particolare quello di Santa Cruz- hanno cominciato a sostituirsi alla presenza e alla voce di Carlos Mesa e del suo partito politico, Comunità Cittadina. I Comitati civici sono istituzioni politiche di vecchia data in Bolivia: associazioni di “forze vive” diverse per dipartimento -da camere imprenditoriali, mascherate e fraternità delle feste locali, collegi professionali e organizzazioni sindacali, ecc.-, esprimono i patti di clase, quasi sempre sotto l’egemonia degli impresari locali, di fronte allo storico “centralismo” politico di La Paz e, in genere, difendendo interessi delle regioni.

5. Che ha già vinto Evo

Il 22, 23 e 24 ottobre si è aperto in Bolivia un momento di intensa deliberazione. Molteplici voci hanno cominciato ad occupare lo spazio pubblico allineandosi intorno a due versioni dei fatti del giorno 20: “Non c’è una differenza di più del 10% e ci deve essere un secondo turno” contro “c’è una differenza di più del 10% ed Evo rimane”. Hanno parlato i Comitati civici dipartimentali, uno a uno, anche se il più stridulo è stato sempre quello di Santa Cruz. Sono cominciati i giorni dei grandi Consigli: immense concentrazioni di decine o centinaia di migliaia di persone, dove i sostenitori di ciascuna posizione si infervorano tra di loro rinsaldandosi nella propria posizione e sfidando quella contraria. Sembrava, fino ad allora, un confronto a somma zero abbastanza conosciuto: di quelli che spingono e obbligano ciascuno a optare per una o l’altra delle posizioni contrapposte, anche se nessuna ci conviene del tutto. María Galindo ha descritto la crisi politica che già si profilava come una “lotta di galli”, facendo appello a costruire una qualche mediazione a partire dalle donne per la situazione di disastro che si intravedeva. A molte di noi un tale appello è diventato uno scopo e cerchiamo di aprire la conversazione. Il gioco politico sembrava avere la forma di una disputa tra vittima e carnefice: chi è l’offeso e chi l’aggressore sembrava essere il quid del dibattito. Evo si ostina a togliere dal gioco, fraudolentemente, Carlos Mesa. E questo non riconosce il discutibile trionfo di Evo e si ribella contro di lui. È apparsa l’OEA offrendo una revisione elettorale data la nulla credibilità del Tribunale elettorale boliviano. Erano ancora momenti per la parola e gli argomenti: l’argomento in disputa girava su numeri decimali nei risultati di alcune elezioni, di per sé, completamente mal organizzate. Secondo turno se c’è fino al 9,9% di distanza o Evo rimane se raggiunge il 10,1% dei voti.

6. Quattro fonti di senso a confronto

La settimana che è cominciata il 28 ottobre, come dire, la seconda settimana di convulsioni, il conflitto politico -e crescentemente sociale- che si esprimeva con diversi blocchi nelle principali città e con numerose concentrazioni nelle strade, si è sdoppiato in quattro fonti di produzione di senso in disputa. 1) Il governo di Evo ogni volta di più ostinato nella sua sordità trionfalistica occupandosi di muovere le organizzazioni sociali corporativizzate che, bisogna dirlo, non prendevano nessuna iniziativa per proprio conto e, piuttosto, aspettavano istruzioni. Tutti loro, confidando sul fatto che la vicinanza della festa di Tutti i Santi avrebbe calmato gli animi. 2) Carlos Mesa, Comunità Cittadina e i Comitati civici alleati, facendo appello alla “difesa della democrazia” e chiedendo un secondo turno; convocando di volta in volta la gente a riunirsi in immense assemblee “a difesa del voto”. Durante questa settimana ha cominciato a rendersi pienamente visibile la partecipazione di moltissimi giovani, studenti di università private. Come fonte di senso discordante, mentre si impegnava a smontare lo scenario di disastro, ha cominciato a rendersi presente 3) una crescente articolazione di femministe e donne in lotta che facevano enormi sforzi per riunirsi a dibattere e a collegarsi, a La Paz, Cochabamba, Santa Cruz e forse in altre città [1].

Le Mujeres Creando (Donne che creano), asse fondamentale di tale articolazione, hanno organizzato il 30 ottobre un intervento pubblico nel centro di La Paz nel quale hanno fatto appello ad un “aborto collettivo” dei caudilli ecocidi; in altre città, altre donne e collettive femministe hanno realizzato diverse azioni: “hanno spazzato” pubblicamente l’immondizia a Santa Cruz, si sono date da fare per aprire un spazio di deliberazione a El Alto e, a Cochabamba, si sono anche riunite per discutere e hanno scritto manifesti in mezzo ad una situazione di lotte nelle strade sempre più tesa. 4) Un’ultima fonte di produzione di senso a confronto che rapidamente ha acquistato centralità è stato Luis F. Camacho, presidente del Comitato Civico di Santa Cruz. Questo personaggio, in un conosciutissimo movimento di stampo patriarcale, si è poco a poco smarcato dalla sua alleanza a sostegno di Carlos Mesa e ha cominciato, lui stesso, a presentarsi come protagonista, autorizzato niente meno che da “dio”, per incarnare il messaggio “anti-Evo” delle strade. È allora, nella terza settimana del conflitto all’inizio di novembre, dopo la festa di ricordo dei morti, che la sommossa si esacerba ancor di più.

7. Dalla “lotta di galli” al triangolo vittima-carnefice-redentore

Tra il 31 ottobre e il 4 novembre la richiesta collettiva di un secondo turno elettorale, dato che non c’è credibilità nello 0,1% di votazione che permetterà ad Evo di compiere 20 anni al governo, la mobilitazione di strada è andata verso il suo completo ripudio. “Fuori Evo” è diventa la parola d’ordine di propaganda da parte del Comitato Civico di Santa Cruz, e il suo dirigente, il Macho Camacho -come a lui stesso piace che lo chiamino-, ha cominciato ad andare e venire da Santa Cruz all’aeroporto di El Alto con una “lettera di rinuncia” che, secondo quando diceva, si proponeva di consegnare ad Evo affinché la firmasse. Ad ogni ritorno, a La Paz le cose diventavano ancor più tese tra coloro che non lo lasciavano uscire dall’aeroporto e coloro che volevano accompagnarlo verso la città e, nel frattempo, Cochabamba esplodeva in virulenti e sordidi casini che hanno fatto un morto e decine di feriti, nel momento in cui facevano uscire i pregiudizi razzisti e misogini più brutali come è successo nella località di Vinto.

In modo intempestivo, questa quarta voce diventata autonoma dal copione della Comunità Cittadina, con due effetti immediati. Da un lato, ha completamente cancellato Carlos Mesa e il suo discorso emesso in chiave di difesa della democrazia liberale di sistema; dall’altro, ha schiacciato qualsiasi possibilità di mediazione che si stesse costruendo con grande difficoltà, per tornare a porre un confronto “tra uomini”, come dire, tra machos, come il nodo del conflitto. Il Macho Camacho, inoltre, si è auto-investito della qualità di redentore.

Il risultato allora è che rimaniamo così: Evo ogni volta di più arrabbiato, cercando con i suoi alleati Plaza Murillo che è il cuore politico di La Paz, dicendo che la sua volontà è legge in mezzo a crescenti tumulti per tutto il paese; Carlos Mesa rimosso e annullata la sua capacità di parlare; Camacho, che va e viene da Santa Cruz ad El Alto, affermando che lui è la salvezza della nazione per disegno di dio. Letteralmente dice così in un video di produzione professionale che circola nelle reti sociali.

Vittima-giustiziere-redentore: nel confronto politico si è installato amplificato il triangolo simbolico patriarcale per eccellenza. L’apparizione di Camacho-redentore sfida Evo-giustiziere e silenzia Mesa-vittima. Così, la mediazione della parola femminista/femminile diventa sempre più urgente e, simultaneamente, risulta più difficile. Diventa sempre più complicato enunciare le parole e progettare parole che possano far entrare l’aria in questo tragico triangolo che terminerà con il divorarci tutte. Alcune voci si spaventano e scelgono di piegarsi a qualcuno dei redentori in offerta, noialtre ci ostiniamo a non farlo.

La situazione diventa sempre più oscura dato che si trascina la società boliviana nelle stesse viscere dell’ordine simbolico patriarcale che sostiene la logica di guerra che garantisce l’accumulazione espansiva e coloniale del capitale. Secondo questo copione: non si sta più contendendo il potere politico ma si sta “salvando o distruggendo” la Bolivia, a seconda di chi parli. Evo può giocare a questo gioco, un’altra volta, con grande comodità. Non è più pubblicamente in discussione se lui abbia ignorato o no, di volta in volta, i mandati che sono venuti fuori dalla società quando è stata consultata; quello che è in discussione è chi “salva” la Bolivia. Evo-redentore contro Camacho-carnefice/Camacho-redentore contro Evo-carnefice. E in questa storia, insistiamo, ci sono già tre morti e molti feriti.

8. La sfida è smontare questo scenario

Non è chiaro come smontare questa situazione. Non è fertile contrapporre un discorso di “pacificazione” al violento confronto che si acutizza. Abbiamo bisogno di andare più a fondo e smontare, così come possiamo, la logica che anima la reiterata produzione di questa forma politica anti-comunitaria, espropriatrice della voce e delle decisioni collettive, disciplinatrice dei corpi, profondamente misogina, che oggi si esibisce, ridicolmente, tra maschi arrabbiati che tra di loro si mostrano bibbie. Riesaminate il/la lettrice, il patetico discorso di ieri del “brillante marxista” García Linera.

Qualcosa sì sappiamo: abbiamo necessità di rafforzare una voce collettiva e pubblica che faccia diventare udibili le parole, le proposte e i desideri femministi, le voci delle donne intrappolate in una lotta patriarcale per il dominio e il controllo delle nostre vite, delle decisioni delle comunità che rifiutano l’estrattivismo accelerato, e delle idee degli uomini non violenti. Abbiamo necessità di una mediazione politica che districhi la situazione. E la dobbiamo costruire noi stesse in Assemblea permanente: non sarà la chiesa, né le università, né gli enti internazionali che possono mediare. Abbiamo bisogno, come donne e come femministe, di rafforzare e mostrare la nostra stessa capacità politica collegandola con le diverse associazioni comunitarie, di vicinato, sindacali, sociali e intellettuali che stanno perdendo il filo dello scenario della rovina e del silenzio.

Venerdì 8 novembre, quando la domanda che rende tese tutte noi è se l’esercito uscirà oggi o domani ad uccidere figli/e e fratelli/sorelle nostri.

Note:

[1] Potete vedere gli articoli degli spazi femministi che abbiamo pubblicato precedentemente, ai seguenti link: http://zur.org.uy/content/bolivia-no-nos-maten-por-una-silla (Maria Galindo. No nos maten por una silla) / http://zur.org.uy/content/bolivia-salir-de-la-polarización-hablar-entre-nosotras-carta-abierta-maria-galindo (Autoras varias. Salir de la polarización, hablar entre nosotras) / http://zur.org.uy/content/bolivia-¡no-estamos-solas-¡basta-de-impunidad-y-chantaje-pol%C3%ADtico (Autoras varias. No estamos solas. Basta de impunidad y chantaje político).

08-11-2019

ZUR

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raquel Gutiérrez Aguilar, Bolivia: La profunda convulsión que lleva al desastre” pubblicato il 08/11/2019 in ZUR, su [http://zur.org.uy/content/bolivia-la-profunda-convulsión-que-lleva-al-desastre] ultimo accesso 15-11-2019.

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