La lezione nucleare


Kenzaburo Oe

Il disastro nucleare sembra una ipotesi distante, improbabile; ma in qualche modo la possibilità è sempre tra noi

Casualmente il giorno prima del terremoto ho scritto un articolo che è stato pubblicato pochi giorni più tardi, nell’edizione mattutina del Asahi Shimbun. L’articolo era su un pescatore della mia generazione che era stato esposto alle radiazioni nel 1954, durante le prove della bomba all’idrogeno nell’atollo di Bikini. Sentii per la prima volta di lui quando aveva diciannove anni. Più tardi dedicò la sua vita a denunciare il mito della dissuasione nucleare e l’arroganza di coloro che intercedevano per quella.

Fu una specie di un oscuro presentimento ciò che mi portò ad evocare quel pescatore nell’imminenza della catastrofe? Aveva anche lottato contro gli impianti nucleari ed il rischio che rappresentano. Per molto tempo ho contemplato l’idea di osservare la storia recente del Giappone attraverso il prisma di tre gruppi di gente: quelli che morirono nei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, quelli che furono esposti negli esperimenti di Bikini e le vittime degli incidenti nelle centrali nucleari. Se si considera la storia giapponese attraverso queste storie, la tragedia è evidente.

Oggi possiamo confermare che il rischio dei reattori nucleari è diventato realtà. Non appena terminerà questo disastro – e con tutto il rispetto che ho per gli sforzi umani utilizai per contenerlo – il suo significato non è per niente ambiguo: la storia giapponese è entrata in una nuova fase e una volta di più dobbiamo guardare le cose attraverso gli occhi delle vittime del potere nucleare, degli uomini e delle donne che hanno dimostrato il loro coraggio soffrendo. La lezione appresa dall’attuale disastro dipenderà dal fatto che, chi gli sopravviverà, decida di non ripetere i propri errori.

Questo disastro unisce in forma drammatica due fenomeni: la vulnerabilità del Giappone di fronte ai terremoti ed il rischio rappresentato dall’energia nucleare. Il primo è una realtà che questo paese ha dovuto affrontare fin dall’alba dei tempi. Il secondo, che molti credono potrebbe essere più catastrofico del terremoto e dello tsunami, è opera umana. Cosa ha appreso il Giappone dalla tragedia di Hiroshima? Una delle grandi figure del pensiero giapponese contemporaneo, Shichi Kato, che morì nel 2008, parlando di bombe atomiche e reattori nucleari ricordò una riga delle Note del guanciale, scritto da una donna mille anni fa, Sei Shonagon, in cui l’autrice evoca “qualcosa che sembra molto lontano ma di fatto è molto vicino”. Il disastro nucleare sembra una ipotesi distante, improbabile, ma la possibilità è, in qualche modo, sempre tra noi.

I giapponesi non dovrebbero pensare all’energia nucleare in termini di produttività industriale; non dovrebbero trarre dalla tragedia di Hiroshima una ricetta per la crescita. Come i terremoti, gli tsunami e le altre calamità naturali, l’esperienza di Hiroshima dovrebbe imprimersi nella memoria umana: e sicuramente fu una catastrofe molto più drammatica perché la fecero gli uomini. Ripetere gli errori, mediante la costruzione di reattori nucleari, esibendo la stessa mancanza di rispetto per la vita è il peggiore dei tradimenti possibili verso le vittime di Hiroshima.

Io avevo dieci anni quando il Giappone fu sconfitto. L’anno dopo fu proclamata la nuova Costituzione. Durante gli anni seguenti mi chiesi se il pacifismo scritto nella nostra Costituzione, che comportava la rinuncia all’uso della forza, più avanti, i Tre Principi Non Nucleari (non possedere, costruire né introdurre nel territorio giapponese armi nucleari), era una rappresentazione precisa degli ideali fondamentali del Giappone del dopoguerra. E così è successo: il Giappone ha ricostruito progressivamente la sua forza militare e accordi segreti firmati negli anni ’60 hanno permesso agli Stati Uniti di introdurre armi nucleari nell’arcipelago, lasciando senza senso quei tre principi.

Gli ideali dell’umanità del dopoguerra, nonostante ciò, non sono stati completamente dimenticati. I morti, che ci sorvegliano, ci obbligano a rispettare quegli ideali, e il loro ricordo ci impedisce, in nome del realismo politico, di minimizzare la nociva natura dell’arsenale nucleare. Noi ci opponiamo. Lì risiede l’ambiguità del Giappone contemporaneo: è una nazione pacifista rifugiata sotto l’ombrello nucleare degli Stati Uniti. Uno spera che l’incidente nella centrale di Fukushima permetta ai giapponesi di riconnettersi alle vittime di Hiroshima e Nagasaki, di riconoscere il  pericolo del potere nucleare, e di porre fine all’illusione della dissuasione che le potenze nucleari usano come difesa.

Quando arrivai all’età che comunemente si considera matura, scrissi un romanzo intitolato Insegnaci a superare la nostra pazzia. Ora, negli ultimi anni della mia vita, sto scrivendo un romanzo finale. Se riesco a sopravvivere all’attuale pazzia, il libro che scrivo comincerà con l’ultima riga dell’Inferno di Dante: “E quindi uscimmo a riverder le stelle”.

* Scrittore giapponese, premio Nobel per la Letteratura nel 1994

29/3/2011

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Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da
Kenzaburo Oe, La lección nuclear” traducido para La Haine por S., pubblicato il 29-03-2011 su [http://www.lahaine.org/index.php?p=52442 ], ultimo accesso 30-03-2011.

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