In periodi tempestosi, di confusioni e di nebbie, è opportuno guardare in faccia il comportamento dei potenti per chiarire con una certa lucidità cosa abbiamo di fronte e, di conseguenza, cercare di uscire vincitori dall’attacco che ci sferrano. L’obiettivo non è semplice perché essi occultano furtivamente i loro pensieri che, a loro volta, anticipano le azioni.
La scorsa settimana (nei primi giorni di luglio, ndt) in Brasile, è accaduto uno di questi straordinari momenti nei quali los de arriba mostrano la loro vera faccia, senza filtri. Il candidato dell’ultradestra militarista, Jair Bolsonaro, ha partecipato alla Confederación Nacional de la Industria, dove l’élite imprenditoriale lo ha applaudito con forza, anche quando ha detto che non aveva risposte alle loro domande. Circa 2000 uomini bianchi e ricchi di São Paulo hanno sentito che l’ex militare rifletteva il modo in cui si pongono nel mondo di oggi.
Bolsonaro è stato molto chiaro. Ha attaccato la legislazione di protezione dell’ambiente e di difesa dei popoli indigeni, se l’è presa con la politica delle quote per i neri nelle università, ha criticato il Parlamento, il Supremo Tribunale Federale e i mezzi di comunicazione. “Non faremo nulla che esca dalla nostra testa. I signori che sono al vertice delle imprese saranno i nostri padroni” ha aggiunto con una forte dose di servilismo.
Ha detto che metterà i militari nei ministeri, che farà affidamento sugli evangelici, si è burlato delle minoranze sociali e del “politicamente corretto”. “Ci stanno togliendo la gioia di vivere, non possiamo più fare battute sugli afrodiscendenti, sui goiani e sui cearensi”, ha detto riferendosi agli abitanti di due stati poveri [Goiás e Ceará] disprezzati dalle classi medie.
La platea di imprenditori ha applaudito in piedi un candidato che non ha detto nulla sul suo programma di governo ma che ha considerato “terrorista” il Movimento Sem Terra, senza preoccuparsi di un processo giudiziario per incitazione al razzismo. Quegli stessi imprenditori avevano abbracciato Lula nel 2003 quando salì al governo. Ma la realtà è cambiata. Nel 2008, con lo scoppio della bolla finanziaria. Nel 2013, con le massicce mobilitazioni di giugno contro la disuguaglianza. In quegli anni los de arriba hanno capito che la democrazia non gli serve più, perché non riesce a placare los de abajo.
Queste élite che stanno ridisegnando il mondo vivono un processo di “lepenizzazione”, come sottolinea il giornalista Rafael Poch con riferimento alla politica della francese di estrema destra Marine Le Pen. Poch recupera il pensiero di Immanuel Wallerstein per affermare che la politica delle élite “punta verso una divisione del mondo in due categorie, due caste geografico-sociali, dove il ceto superiore che potrebbe includere il 20% della popolazione del pianeta, potrebbe vivere in un contesto di relativa diffusione, sufficiente per generare consenso e una forza militare capace di mantenere il restante 80% in una posizione totalmente soggiogata ed estremamente povera”.
Questo è il panorama che si presenta davanti ai nostri popoli. La domanda d’obbligo è: cosa faremo, a partire dai movimenti, per affrontare questa prospettiva che trasformerà il mondo in una prigione per otto abitanti su dieci? Ancora più grave, perché una parte considerevole di questo 80% sono pensionati, in una parte crescente del mondo, che, salvo eccezioni, non hanno avuto un ruolo nei processi emancipatori.
Di fronte alla brutale offensiva dei potenti è apparsa l’idea, o sensazione, del “respiro”, nel senso che l’arrivo di un governo “meno peggio” non risolverà i nostri problemi ma, per lo meno, ci permette di prender fiato per continuare ad andare avanti. È come guadagnare tempo, una pratica utilizzata dagli sportivi ma anche da coloro che subiscono la tortura, per alleviare il tormento quando già le forze ti abbandonano.
Credo che sia un atteggiamento umano di difesa che non deve essere condannato bensì capito, perché i popoli hanno bisogno di compiere i loro processi, sbagliare e tornare a sbagliare per prendere, un giorno, altre strade. Che ci piaccia o no, le culture politiche cambiano molto lentamente, mentre le tormente arrivano così veloci che può non esserci modo di proteggerci.
Non abbiamo altra scelta che tener duro, mantenere la calma e continuare il nostro cammino, che oggi è quello di rafforzare i nostri progetti collettivi, come quelli di cui sono protagonisti i popoli indigeni e le decine di collettivi che in tutte le nostre geografie continuano a resister e fanno ciò che è umanamente possibile per non lasciarsi accecare dai fuochi d’artificio della politica istituzionale.
9 luglio 2018
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo
Comune-info
https://comune-info.net/2018/07/conoscere-il-nemico-e-i-suoi-obiettivi/
Traduzione di Daniela Cavallo: |
Raúl Zibechi, “Conocer al enemigo y sus objetivos” pubblicato il 09-07-2018 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/conocer-al-enemigo-objetivos/] ultimo accesso 31-07-2018. |