Raúl Zibechi
L’irruzione dei più poveri di Buenos Aires sullo scenario urbano, attraverso le massicce occupazioni di terreni per richiedere abitazioni degne, è stata sul punto di generare una crisi politica nel momento in cui svelava i limiti dell’attuale modello di accumulazione. Alla fine, quando la repressione e l’odio classista si sono mostrati impotenti a contenere ciò che minacciava di trasformarsi in una ondata di occupazioni, i governi, nazionale e della città, hanno messo da parte le loro discussioni preelettorali per firmare un accordo che non apporta soluzioni di fondo ma stabilisce una difficile tregua tra tutti gli attori.
Il 7 dicembre circa 200 famiglie della Villa 20, uno dei quartieri informali di Buenos Aires, hanno occupato una parte del Parco Indoamericano, uno dei maggiori spazi verdi della città con più di cento ettari. Nelle ore seguenti l’occupazione è cresciuta fino a superare le cinquemila persone, anche se il successivo “censimento” ufficiale segnala 13 mila occupanti, tra i quali ci sono famiglie intere con bambini ed anziani. La stessa notte le polizie, Federale e Metropolitana, la prima a carico del governo nazionale di Cristina Fernández e la seconda sotto il comando del governo della Città di Buenos Aires di Mauricio Macri, hanno cercato di cacciare gli occupanti assassinando un giovane paraguyano di 22 anni ed una donna boliviana di 28.
A partire da quel momento ambedue i governi si sono incolpati degli incidenti. Macri, con un intollerante atteggiamento razzista, ha dato al governo nazionale la responsabilità di favorire l’immigrazione illegale. Il suo portavoce ha detto che “c’è una logica perversa che fa in modo che dai paesi limitrofi venga ogni volta più gente ad insediarsi sui terreni”. I vicini dell’occupazione, anche loro poveri, hanno attaccato gli occupanti chiedendo che fossero espulsi verso i loro paesi. “Che se ne vadano tutti”, si è tornato a sentire quasi un decennio dopo l’Argentinazo del 19 e 20 dicembre 2001, con un senso opposto alla protesta originale che chiedeva l’espulsione della classe politica. A quelli si sono aggiunte bande armate, dirette, secondo il governo, dal macrismo e dall’ex presidente Eduardo Duhalde, che hanno assassinato un terzo occupante – tirato fuori da una ambulanza e sbattuto a terra – nello stesso Giorno dei Diritti Umani.
Da parte sua, il governo nazionale non ha riconosciuto la propria responsabilità nei crimini del primo giorno compiuti dalla Polizia Federale, ed ha incolpato il governo della città di Macri, tanto per le sue dichiarazioni razziste come per la mancanza di politiche pubbliche per la casa, in ambedue i casi con completa ragione. Dietro e al di sotto di questa tragica farsa di palazzo, il cui sfondo sono le elezioni presidenziali da tenersi fra appena dieci mesi, sta la cruda realtà dei più poveri. Per strada nella città di Buenos Aires mezzo milione di persone alle quali Macri ha promesso terreni, e mai ha mantenuto. Al contrario, il governo della città si è vantato poco tempo fa di aver sgombrato 400 fondi, molti dei quali occupati nel periodo della sollevazione popolare del 2001.
Nei giorni seguenti sono avvenute diverse occupazioni, una decina nella capitale e un numero ancora sconosciuto nell’area metropolitana e nelle città dell’interno. Quando la marea della povertà urbana minacciava di buttarli fuori tutti, i governi, nazionale e della città, uno contro l’altro, sono arrivati ad un rapido accordo per costruire case. Con l’avvertenza che “colui che si insedia non avrà diritto a far parte di un piano casa né di nessun piano sociale di nessuna caratteristica”, come ha detto con forza il capo di gabinetto del progressista governo nazionale, cedendo al linguaggio della destra che critica.
Le organizzazioni del settore popolare presenti nella Villa 20 di Lugano, il Fronte Popolare Darío Santillán e la Corrente Classista e Combattiva, hanno preso le distanze dall’accordo ma un’assemblea di migliaia di occupanti ha deciso di ritornare alle proprie precarie abitazioni ed ai propri letti in affitto a sperare che, con molto scetticismo, un giorno qualche governo dia compimento alle proprie promesse. I referenti dell’accampamento stanno lottando da almeno cinque anni per le terre destinate alle case, che oggi sono un enorme cimitero di macchine della Polizia Federale traboccante di ratti vicino alle loro case.
La destra denuncia, come ha fatto il quotidiano La Nación, la moltiplicazione della popolazione nelle più di 20 villas della capitale. Solo la Villa 31, nel centrale quartiere di Retiro, ha duplicato in dieci anni la propria popolazione da 25 a 50 mila persone. I dati confermano una crescita esponenziale: nel 2006 c’erano 819 villas tra la capitale e l’area metropolitana di Buenos Aires con un milione di abitanti. Oggi già saranno due milioni, mentre nella capitale arriveranno a 235 mila le persone che vivono nelle villas, un 7% della città. Uno studio dell’Università Generale Sarmiento stima che la popolazione nelle villas cresca dieci volte più rapidamente di quella del paese. Il quotidiano della destra si lamenta di “uno tsunami silenzioso”.
Ciò che né la destra né il governo dicono, è che questo tsunami è la conseguenza del modello estrattivista che l’uno e l’altro appoggiano. Il modello delle monocoltivazioni di soia (20 milioni ettari delle migliori terre argentine) e delle miniere a cielo aperto sta espellendo dalle proprie terre milioni di argentini, in genere contadini poveri. Questo stesso modello ha espulso due milioni di paraguayani ed un milione di boliviani che negli ultimi anni sono giunti in Argentina, quando non potevano più continuare a vivere nei loro appezzamenti, bruciati dal glifosato o contaminati per l’acqua con mercurio.
In secondo luogo, le politiche sociali stanno cominciando a mostrare dei limiti nel momento di contenere la protesta di quelli che stanno abbasso, ragione per cui furono create. Finché non ci saranno cambiamenti strutturali, quanto è successo in Argentina nella seconda settimana di dicembre sarà appena un tiepido anticipo della fenomenale esplosione sociale che ci sta preparando un modello di accumulazione escludente e depredatore, che si sostiene solo con il lavoro congiunto dei ministeri degli Interni e dello Sviluppo Sociale.
17/12/2010
Lavaca
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca da |
Raúl Zibechi, “La toma” traducido para Lavaca por S., pubblicato il 17-12-2010 su [http://lavaca.org/notas/la-toma/], ultimo accesso 11-02-2011. |