Uno sciopero dei “para”


María Paula Rubiano

Ha colpito otto dipartimenti. Il governo avverte che, nonostante l’impatto del blocco armato, non tratterà politicamente i suoi promotori, come vuole il clan Úsuga.

Giovedì 31 marzo l’aeroporto di Carepa, nell’Urabá antioquegno, non ha funzionato. Atterriti dalle minacce di uno sciopero armato convocato dal clan Úsuga, che si fa chiamare Autodifese Gaitaniste della Colombia, gli operatori della torre di controllo si sono trincerati nelle proprie case. Anche se avessero deciso di non far caso ai messaggi, sarebbe stato impossibile giungere fino al posto di lavoro, poiché quel giorno, il primo dello sciopero convocato da questo gruppo illegale, nell’Urabá non sono circolati gli autobus. È tale il potere che ostenta il clan Úsuga.

Giovedì neppure le piantagioni di banane (che rappresentano l’80% dell’economia della regione) hanno funzionato. Juan Camilo Restrepo, presidente dell’Associazione dei Bananieri della Colombia (Augura), ha detto al El Espectador che “i 20 mila lavoratori della nostra agro-industria non sono stati estranei alla sospensione delle attività dei vari settori. La gente non è potuta andare a lavorare perché la nostra attività dipende dal fatto che la gente possa prendere l’autobus per andare nelle tenute”.

Come nello sciopero armato del 2012, anche quello convocato dal clan Úsuga (sempre come Autodifese Gaitaniste della Colombia) in seguito alla morte di uno dei suoi capi, quello di oggi tiene in bilico buona parte dell’Antioquia e per lo meno altri cinque dipartimenti, e ha danneggiato i locali commerciali, i mototassisti, i caffè e le scuole dell’Urabá, che sono rimasti vuoti. Ma, come in quella occasione, il blocco degli uomini armati non ha raggiunto il suo scopo finale, che è quello di ottenere uno status politico per negoziare con lo stato. Gli rimane solo di sottomettersi alla giustizia, come ha detto questa notte il presidente Santos al termine di un consiglio di sicurezza.

Lo stesso è successo a Montería e a Planeta Rica (Córdoba), a San Onofre (Sucre), e in vari municipi del Chocó e del Norte de Santander. Il primo giorno è terminato con quattro uomini in divisa morti, cinque veicoli bruciati e con in giro la voce che lo sciopero armato si estenderebbe fino a venerdì.

Ieri mattina, il ministro della Difesa, Luis Carlos Villegas, ha confermato i timori: a Montería ha partecipato ad un consiglio di sicurezza per parlare della situazione dell’ordine pubblico nella capitale del Córdoba. Il ministro degli Interni, Juan Fernando Cristo, è andato nel Sucre, nella cui capitale, Sincelejo, le istituzioni dell’educazione privata hanno sospeso le attività. Il vicepresidente Germán Vargas Lleras si è trasferito a Turbo, Antioquia.

Lo sciopero è giunto anche fino a Medellín, dove un pulmino del trasporto integrato della metro e varie facciate nel quartiere Belén Rincón all’alba si sono presentati dipinti con le sigle delle Autodifese Gaitaniste della Colombia (AGC). In quello stesso settore nella notte di giovedì si è udita una sparatoria e lì vicino, nella Loma dei Bernal, un pulmino è stato incendiato.

Il capo del portafoglio della Difesa ha anche precisato che nel Chocó l’anormalità nel trasporto e nel commercio è continuata anche venerdì, e, sebbene abbia detto che nell’Apartadó e nel Carepa si siano svegliati normali, questo quotidiano ha potuto stabilire che per lo meno a Turbo, San Juan de Urabá, Chigorodó e Necoclí le attività sono state parzialmente o totalmente bloccate, come in cinque municipi del sud del Bolívar. Raúl Pérez, giornalista di Teleantioquia Noticias nell’Urabá, ha detto a questo quotidiano che “la gente è prigioniera nelle proprie case. Questo è un timore accumulato perché non sentiamo sicurezza né protezione da parte della Forza Pubblica”.

Nelle due occasioni in cui il ministro della Difesa ha fatto riferimento allo sciopero armato, il messaggio è stato il medesimo: “Il fatto che il clan Úsuga abbia mostrato i propri denti denota la sua codardia e lo stato di emarginazione in cui sta”. Da parte sua, il governatore dell’Antioquia, Luis Pérez, nel pomeriggio di giovedì ha affermato che “questa paralisi, uno non la potrebbe nemmeno chiamare sciopero armato. Il fatto è che i cittadini sono un poco spaventati da alcune minacce di anonimi”.

“Il solo fatto di ordinare che non si muovesse il trasporto né il commercio, che le grandi imprese abbiano chiuso, vuol dire che gli impresari di tutte le dimensioni sappiano il potere che hanno i gaitanisti. La gente presume che loro abbiano il potere, che loro governino nella loro regione. Il messaggio alla cittadinanza è molto grave: che lo stato ha le mani legate, senza capacità di fermare questo gruppo illegale che da anni sta crescendo”, ha commentato al El Espectador Fernando Quijano, direttore dell’Associazione per la Pace e lo Sviluppo Sociale.

Un potere che cresce

Al di là della percezione di uno o dell’altro, la cosa certa è che la minaccia del clan Úsuga già compie un decennio. La sua origine risale all’anno 2007, quando incominciò il riarmo paramilitare dopo che la Corte Costituzionale fece cadere la possibilità che i gruppi paramilitari fossero considerati “sediziosi”, con cui rese vana la loro intenzione di mettersi in politica.

In quel momento, Vicente Castaño dette a Daniel Rendón Herrera, chiamato Don Mario,  l’ordine di riprendere il controllo dei principali bastioni paramilitari. Immediatamente, Don Mario convocò vari ex capi paramilitari, che erano liberi, per riunirsi. Tra i convocati ci furono i fratelli Juan de Dios Úsuga, Giovanny, e Dairo Antonio Úsuga, Otoniel, ex compagni del Blocco Centauri delle Autodifese. Con loro e altri ex “para” come Gavilán e il Negro Sarley, fondò il gruppo Eroi di Castaño.

Un anno dopo, nel 2008, anche attraverso uno sciopero armato, i reinventati paramilitari si presentarono al paese come Autodifese Gaitaniste della Colombia. Per un certo tempo ebbero la guida diretta di Don Mario, ma dopo la cattura di questi nel 2009, il gruppo rimase nelle mani degli Úsuga, che inizialmente spostarono nella regione dell’Urabá il proprio centro delle operazioni e con il tempo si diffusero in altre zone del paese.

Questa banda criminale, che ha delle alleanze con altri gruppi simili e il cui combustibile fondamentale è il narcotraffico, è la sfida che tiene in scacco le autorità di otto dipartimenti (Chocó, Antioquia, Sucre, Córdoba, Bolívar, Cesar, Magdalena e Norte de Santander) e vuole essere riconosciuta come sollevata in armi con uno status politico. Per questo, contrariamente a quello che afferma il Governo, lo sciopero non obbedisce al fatto che questa sia debilitata, ma alla sua strategia per cercare di forzare un negoziato con l’Esecutivo.

Il vicepresidente, Germán Vargas Lleras, lo ha ammesso ampollosamente quando ha affermato: “Il clan Úsuga cerca uno status politico che non riuscirà ad ottenere”. Il presidente Juan Manuel Santos ha optato per un messaggio più forte: “Metteremo fine a questa organizzazione”. Nonostante ciò, questo obbiettivo del Governo compie già un anno, risponde al nome dell’operazione Agamennone e fino a questo momento, nonostante le catture e i sequestri, non trova i principali capi e sponsor.

Per questo, l’analista politico Fernando Quijano è convinto che “ciò che in questi giorni c’è stato in municipi come San José de Apartadó (tradizionalmente sotto il dominio delle Farc) dimostra che Agamennone, invece di decimare o eliminare il potere del clan Úsuga, lo sta spingendo verso zone con una tradizionale presenza delle Farc, dove la guerriglia si è ritirata per i dialoghi di pace all’Avana”. In altre parole, che sta occupando i loro territori.

Da qui il fatto che lo sciopero armato costituisce molto di più che un allarme di sicurezza. Il fatto che gli Úsuga si sentano sufficientemente fiduciosi di mostrarsi in capitali come Córdoba, Sincelejo o nelle stesse strade di Medellín, lascia intravedere che, più che finito, questo gruppo criminale si è andato consolidando e ha interessi più profondi di quelli di un semplice gruppo delinquenziale. È il fantasma del paramilitarismo in nuce, nonostante che ora si chiami bacrim (banda criminale, ndt), Urabegni, Autodifese Gaitaniste o clan Úsuga.

1 aprile 2016

El Espectador

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
María Paula Rubiano, Un paro de paras” pubblicato il 01-04-2016 in El Espectadorsu [http://www.elespectador.com/noticias/judicial/un-paro-de-paras-articulo-625090] ultimo accesso 03-04-2016.

 

, , , ,

I commenti sono stati disattivati.