Nella crisi brasiliana il principale perdente è il paese. In un clima di esasperazione in cui perfino i più alti magistrati mostrano segni di smarrimento, predominano i bassi interessi corporativi e individuali. L’abisso non è così lontano.
Dopo due settimane da infarto, le vacanze della Settimana Santa sembrano aver portato una certa calma, un balsamo per un governo assediato. Fino a quando qualcuno, molto probabilmente il giudice Sergio Moro, sfodererà nuovamente la spada e tutto tornerà a impennarsi.
In mancanza di fatti concreti, abbondano le voci. Alcuni dicono che Lula desisterebbe dal presiedere il gabinetto, messo alle strette da 13 azioni contro di lui nel Tribunale Supremo Federale, che la prossima settimana dovrà pronunciarsi al riguardo. Ossia giacché non è più solo il giudice Sergio Moro colui che tiene alle corde l’ex presidente brasiliano, ma la maggior istanza giudiziaria del paese, dove la maggior parte dei giudici sono stati nominati sotto i governi del PT.
Altre versioni affermano che a Brasilia si starebbe giungendo a tessere degli accordi, tra l’opposizione socialdemocratica (PSDB) e il finora governativo PNDB, per un eventuale governo che presidierebbe l’attuale vice, Michel Temer. Anche se hanno bisogno di due terzi della Camera per destituire Dilma Rousseff, non sono pochi coloro che stimano che si potrebbe raggiungere questa cifra. In ogni caso il processo di impeachment è lungo, anche se la commissione incaricata di analizzarlo è stata già nominata.
Nei fatti, la scommessa di Dilma e del PT di collocare Lula nel gabinetto come principale organizzatore per uscire dalla crisi si è rivelata un completo fracasso. Sembra evidente, contro ciò che sostengono gli analisti di sinistra, che l’ex presidente ha perso la sua aureola. Pochi vogliono apparire dar la mano ad un futuro prigioniero per corruzione. Perfino Frei Betto, amico personale di Lula ed ex membro del suo governo, ha fatto un passo di lato e ha sottolineato che risulta sospetto che il PT non abbia espulso nessuno dei militanti processati nell’Operazione Lava Jato.
L’OEA entra nella dibattito
Mentre l’operazione della giustizia ha portato all’arresto di 133 persone e ha incarcerato alcuni dei più celebri e ricchi impresari del paese, appartenenti a 16 compagnie (tra le quali Camargo Correa, Oas, Utc, Odebrecht, Mendes Junior, Engevix, Queiroz Galvão, Iesa e Galvão Engenharia), e politici di numerosi partiti di governo e dell’opposizione (tra cui PP, PT, PMDB, PSDB e PTB), il paese si trova in una discesa che sembra inarrestabile.
Una delle persone più criticate ed elogiate negli ultimi giorni è stato il giudice Moro. Le analisi più sensate dicono che la sua gestione è un’opportunità per ridare decoro alla politica squarciando i meccanismi del finanziamento dei partiti, i cui fondi provengono dal settore privato e da trasferimenti più che dubbi. In questo senso, l’Operazione Lava Jato sarebbe un progresso repubblicano così necessario come urgente. Nonostante ciò, la diffusione di conversazioni telefoniche tra Lula e Dilma alcune ore dopo che l’ex presidente era stato nominato alla guida del gabinetto ha incoraggiato coloro che sostengono che in Brasile è in corso un golpe. Si deve dire che questa tesi risulta più che confusa e poco sostenuta, dato che i suoi mentori non hanno detto una sola parla quando erano processati gli impresari e alcuni dirigenti politici, ma hanno gridato allo scandalo quando è giunto il turno di Lula.
In una situazione di profonda polarizzazione, ha sorpreso la dichiarazione del segretario generale dell’OEA, Luis Almagro, che venerdì 18 si è pronunciato contro gli atti del giudice Moro. “Lo stato di diritto richiede che tutti siamo responsabili e uguali di fronte alla legge. Nessuno, e voglio dire nessuno, è al di sopra della legge”, ha detto Almagro. Se rimanevano dubbi, ha aggiunto che “nessun giudice è al di sopra della legge che deve applicare e della Costituzione che garantisce il suo lavoro. La democrazia non può essere vittima dell’opportunismo, ma deve sostenersi con la forza delle idee e dell’etica”.
Ancora è molto presto per interpretare ciò che sta succedendo in Brasile: se un processo di pulizia di carattere repubblicano o una semplice vendetta anti PT, o ambedue le cose simultaneamente, giacché è molto probabile che qualcosa che è cominciata come una operazione legale sta venendo usata, e sviata, per abbattere un governo.
Questione di classe
La situazione brasiliana cambia giorno per giorno e, in certi momenti, di ora in ora. Questo vuol dire che è molto difficile pensare che ci sia una mano nera dietro il sipario che stia dirigendo con freddi calcoli le giocate. Oggi ragiona così la sinistra ufficiale, anche se molti dati smentiscono queste osservazioni.
Dal lato opposto, nessuno può credere alla sincerità di dirigenti del PMDB e del PSDB che sono accusati di corruzione e che nei governi degli stati utilizzano meccanismi identici a quelli del PT nel governo. Tutto indica che l’Operazione Lava Jato non terminerà con la corruzione sebbene la cosa più sicura è che liquidi il PT e il governo. Questo avalla la tesi di coloro che affermano che siamo di fronte ad un golpe.
“Noi stiamo affondando”, ha scritto alcune settimane fa l’ex ministro dell’Industria Antonio Delfim Netto, ministro della dittatura e ora simpatizzante di Dilma e Lula. Delfim Netto sottolinea le perplessità che gli produce la situazione del paese. Ricorda che “negli ultimi cinque anni siamo cresciuti del 5 per cento, mentre il mondo è cresciuto del 18 per cento e gli emergenti del 28 per cento” (Valor, 15-XII-15). Il paese affonderà se non recupera molto rapidamente la governabilità, dice ora l’ex ministro.
Una legione di analisti compara l’attuale situazione con quella che portò al suicidio di Getúlio Vargas nel 1954. Anche se ci sono elementi comuni, precisa lo storico José Murilo de Carvalho, giacché Vargas era accusato “da settori della classe media di tollerare pratiche corrotte, c’è una grande differenza, che è la presenza attiva dei militari nel 1954 che costrinsero Vargas ad andarsene”. “Oggi il conflitto è civile e nazionale”, sostiene (BBC Brasile, lunedì 21).
Per lo storico, come per tanti brasiliani, uno dei principali problemi è la polarizzazione e il trionfo dell’irrazionalità. “La radicalizzazione politica e l’intolleranza sono giunte ad un punto pericoloso. Non c’è più dibattito, appena schiamazzi. In questo scenario dominato dalle passioni tutto può succedere, incluso un serio conflitto sociale”.
Un sondaggio effettuato sui manifestanti di viale Paulista di San Paolo nelle manifestazioni di domenica 13 rivela qualcosa di questo. Il 77 per cento erano diplomati alle superiori e una identica percentuale sono bianchi, il 63 per cento percepisce entrate equivalenti almeno a cinque salari minimi e hanno in media 45 anni, secondo Datafolha (Carta Capital, venerdì 18).
Uno studio dell’istituto di sondaggi Data Popular effettuato a gennaio, con 3.500 intervistati in 146 città, ha rilevato una delle migliori fotografie dell’attuale Brasile: solo il 3 per cento dei consultati accetta di essere corrotto, ma il 70 per cento ammette di fare azioni corrotte, come mentire nella dichiarazione dei redditi o corrompere guardie.
L’amarena sulla torta l’ha messa il giudice federale Catta Preta Neto, che ha abrogato la nomina di Lula come ministro. Sul suo profilo su Facebook il giudice ha posto senza imbarazzo foto sue e della sua famiglia mentre partecipano alle manifestazioni contro il governo, il 7 marzo, e ha scritto: “Aiuta ad abbattere Dilma e torna a viaggiare a Miami e Orlando. Se lei cade, il dollaro scenderà” (Carta Capital, venerdì 18).
Come annuncia il sociologo Jessé Souza, “la cosiddetta classe media è la forza d’urto dei danarosi”. Certamente. Se Dilma è abbattuta, ciò che verrà può essere ancora peggio, in un paese dove è evaporata l’egemonia e sarà difficile ristabilire il consenso.
26-03-2016
Brecha
tratto da Rebelión
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: |
Raúl Zibechi, “Impasse, antes del diluvio” pubblicato il 26-03-2016 in Rebelión, su [http://www.rebelion.org/noticia.php?id=210390] ultimo accesso 26-03-2016. |