Ore critiche in Bolivia


Marco Teruggi

In Bolivia si vivono ore critiche. Da più di una settimana ci sono proteste a livello nazionale; il Governo di fatto ha dispiegato poliziotti, militari e gruppi civili armati. La scalata delle proteste non si ferma e si installa l’esigenza della rinuncia di Jeanine Áñez. Ma che conseguenze avrebbe questo?

La Bolivia vive nuovamente ore critiche. I blocchi stradali iniziati il 3 agosto e la violenza dispiegata dal Governo di fatto si sono moltiplicati nei fatti e nei discorsi: repressioni, dispiegamento di militari, gruppi civili armati. “Ficcare il proiettile sarebbe politicamente corretto”, ha affermato Arturo Murillo, ministro degli Interni.

La scintilla delle proteste è stato il terzo rinvio delle elezioni presidenziali realizzato dal Tribunale Supremo Elettorale (TSE), che ha cambiato la giornata di voto dal 6 settembre al 18 ottobre, in caso di secondo turno, il 29 novembre.

Questa decisione ha scatenato una mobilitazione il 20 luglio, guidata dalla Centrale Operaia Boliviana (COB) e da differenti settori sociali mobilitati, autoconvocati, indigeni e contadini. Quel giorno, da El Alto, Juan Carlos Huarachi, segretario generale della COB, ha annunciato che dava 72 ore al TSE per tornare indietro e mantenere quella del 6 settembre.

Lunedì 3 agosto, di fronte alla mancanza di accordo, sono allora cominciate le proteste e i blocchi, e i principali punti del paese, come i dipartimenti di Santa Cruz, Cochabamba, Oruro, la città di El Alto e La Paz, dove è iniziato anche uno sciopero della fame di fronte al TSE.

La richiesta iniziale è stata di mantenere la data del 6 settembre o di elezioni con garanzie prima del 18 ottobre. Con il trascorrere dei giorni la richiesta ha cominciato ad orientarsi verso la necessità della rinuncia di Jeanine Añez che, oltre a stare alla presidenza dal colpo di stato -che, secondo lei, occuperebbe solo da circa novanta giorni- è anche candidata presidenziale.

“Si tratta di un Governo estremamente debole al quale i settori popolari chiedono la rinuncia per aver impoverito le famiglie boliviane, per non garantire condizioni minime per affrontare la crisi sanitaria e spogliarle dei diritti fondamentali come l’accesso all’educazione”, spiega Adriana Salvatierra, senatrice del Movimento Al Socialismo (MAS).

Debolezza, rinvio e repressione

Il Governo di fatto si è andato indebolendo e questo processo sta dietro ai rinvii delle elezioni. Non solo è caduta l’immagine della Añez o di Fernando Camacho, che ad ottobre/novembre ha fatto parte della direzione golpista, ma i sondaggi danno la preferenza a Luis Arce, candidato presidenziale del MAS, insieme a David Choquehuanca.

La debolezza, frutto della mancanza di legittimità d’origine, aggravata dai massacri effettuati a Senkata e Sacaba poco dopo il golpe, con i mesi si è accentuata. L’arrivo della pandemia, le accuse di corruzione, e la risposta insufficiente dall’inizio fino alla data odierna è stata una aggravante centrale.

“Da quasi due mesi non ci sono medicine fondamentali come l’azitromicina, l’aspirina e altre, scarseggia l’ossigeno medico, le analisi del Covid-19 sono scarse da 5 mesi, gli ospedali sono collassati da 3 mesi”, ha spiegato Freddy Morales, corrispondente di Telesur da La Paz.

La situazione di fronte alla pandemia è stata posta come ragione per rinviare le elezioni dal 3 maggio al 2 agosto al 6 settembre e al 18 ottobre. Nonostante ciò, in vista della crisi politica del paese, una nuova posticipazione avrebbe richiesto un dialogo con tutti i settori politici per raggiungere un accordo.

Non essendo stato fatto questo passo, non volendo quindi decidere con le organizzazioni di fronte all’annuncio delle proteste, e in vista dello scontento accumulato insieme al rifiuto verso la Añez, sono cominciati i blocchi.

Le risposte del Governo di fatto sono state quelle che si aspettavano: minacce, criminalizzazione dei blocchi, un dialogo nazionale senza i principali attori, e l’apparizione in primo piano, di nuovo, dei gruppi civili armati che hanno agito durante la scalata golpista del 2019.

Il braccio civile armado

“Sono gruppi che fanno uso della violenza, in molti casi armata, con la complicità delle attuali autorità dello stato, specialmente della polizia, mostrano armamento come giubbotti antiproiettile e armi di grosso calibro e agiscono impunemente attaccando i settori popolari che protestano contro il Governo di fatto”, spiega Edmundo Juan Nogales Arancibia, avvocato e analista.

Questi gruppi ebbero un ruolo centrale nel 2019 agendo con forza, prima a Santa Cruz, dopo a Cochabamba, e alla fine a La Paz. In queste settimane hanno attaccato le mobilitazioni che difendevano Evo Morales, hanno aggredito nelle strade donne poiché erano indigene, hanno assaltato case di dirigenti del MAS, hanno sequestrato i loro familiari, così come la sindaca del municipio di Vinto, che hanno picchiato, le hanno tagliato i capelli e li hanno dipinti di rosso.

Una prima riapparizione con forza ha avuto luogo a La Paz, quando la cosiddetta Resistenza Giovanile Cochala ha aggredito coloro che portavano avanti uno sciopero della fame di fronte al TSE. La sua azione si è ripetuta a Cochabamba, e a Santa Cruz ha agito l’Unione Giovanile  Cruceñista (UJC).

“Sono un braccio operativo che ha permesso all’attuale Governo di fatto di prendere il potere e che lo aiutano a conservarlo attaccando i settori sociali mobilitati che chiedono elezioni nazionali. Si propagano nel paese con la denominazione di ‘Resistenza’ aggiungendo gli aggettivi di giovanile e quello della regione dove vogliono installarli”, spiega Nogales.

La più antica di queste formazioni è l’UJC -fondata nel 1957-, che agì con forza nel tentativo di colpo di stato del 2008, “un’organizzazione paramilitare dell’oligarchia boliviana, razzista, separatista e anticomunista”, come la descrive il giornalista Nicolás Lantos in un’indagine.

Quel tentativo del 2008 ebbe tra i suoi principali dirigenti Branko Marinkovic, impresario di Santa Cruz, che fuggì dal paese dopo il fallimento di quel piano, e il suo coinvolgimento in un’operazione per assassinare Evo Morales nel quale erano implicati cinque europei legati a gruppi nazisti.

Marinkovic, che fu padrino di Camacho -formato nelle file dell’UJC-, ha fatto parte dell’organizzazione del golpe contro Morales dall’estero, ed è ritornato in Bolivia a gennaio. è stato nominato ministro della Pianificazione del Governo di fatto mercoledì 5 agosto, due giorni dopo l’inizio dei blocchi e delle proteste.

I golpisti

Gli attori del colpo di stato del 2019 sono stati eterogenei, ma fanno parte di quello che Salvatierra chiama “il blocco di novembre” organizzato per il rovesciamento del Governo di Evo Morales.

Gli attori di questo blocco, passato il golpe, “sono ritornati nei loro ridotti politico-elettorali, nonostante ciò, la candidatura di Jeanine Añez, che ha sorpreso trasgredendo i principi di un ‘Governo di transizione’, e l’avventura elettorale di Camacho ha frammentato ancor di più l’opposizione al MAS”.

L’arco golpista anti-MAS è rimasto così diviso in differenti candidature: Añez, Camacho, Jorge Quiroga e Carlos Mesa. Di questo insieme di attori Mesa, che era stato il principale candidato contro Morales, ed è colui che mantiene le maggiori intenzioni di voto tra questi candidati, il 26,8%, secondo il sondaggio realizzato dal Centro Strategico Latinoamericano di Geopolitica a luglio. Arce, in cambio, ha il 41,9% delle intenzioni di voto.

L’entrata di Marinkovic nel Governo di fatto potrebbe significare una possibile unità tra la Añez e il settore guidato da Camacho, anche se discorsivamente mantiene posizioni critiche nei confronti di lei e di Murillo.

Camacho, di fronte ai blocchi, è tornato a dispiegare gruppi armati, come ha annunciato e rivendicato dopo nelle sue stesse reti sociali.

Ma tanto la Añez, come Camacho, Mesa, e l’arco golpista hanno due punti centrali di accordo: impedire che il MAS torni al Governo e il modello economico imposto dopo l’abbattimento di Evo:

“Quello che unisce tutte queste frazioni è il loro implicito accordo di imporre un’agenda economica neoliberale plasmata nel Decreto Supremo 4272 che stabilisce la riduzione dello stato nell’economia, la privatizzazione delle imprese statali, la riduzione della spesa pubblica, la riduzione e la precarizzazione del lavoro”, analizza Nogales.

La scalata della crisi

La riunione realizzata martedì 11 agosto, a mezzogiorno, nella città di El Alto, ha ratificato la richiesta della rinuncia della Añez. La richiesta, che proviene da vari settori e le proteste, è, nonostante ciò, complessa per le sue conseguenze politiche.

“Se abbatteremo questo Governo, come dicono i compagni, ‘fuori la Añez’, che governo entrerà? Credo che questa riflessione bisogna farla, il più rapidamente, abbattere la Añez implicherebbe un nuovo governo transitorio che dovrebbe convocare nuove elezioni e, pertanto, questo implicherebbe un periodo più lungo di incertezza fino ad avere un governo democratico e legittimamente eletto”, ha affermato Arce.

L’appello alla riflessione di Arce era diretto a coloro che guidano le proteste. Le medesime, a cui partecipa la COB, il Patto di Unità, e differenti settori mobilitati, non stanno venendo dirette dal MAS.

Il 10 agosto Morales ha convocato “dirigenti e popolo mobilitato” a considerare una proposta brogliaccio di Atto di Intesa, “preparato per le organizzazioni sociali e il TSE, con l’Organizzazione delle Nazioni Unite come testimone”, “affinché il 18 ottobre sia, con una legge, data definitiva, improrogabile e fissa di elezioni”.

La scommessa, in questo momento critico, è, da parte del MAS, di raggiungere un accordo con garanzie rispettate, e di evitare una scalata ancor maggiore che possa portare ad altri scontri civili armati, così come a nuovi massacri da parte del Governo di fatto con le forze di polizia e militari, come successe a novembre.

C’è anche un altro scenario in gioco, denunciato da Arce e Morales: un piano di “autogolpe militare per perpetrarsi al potere passando sopra all’ordine costituzionale”. Che accordi ci sono dentro le frazioni militari per guidare un’azione di questa natura? Che sostegno avrebbe da parte dell’ambasciata nordamericana? O sta venendo gestito dall’ambasciata?

La notte del 10 agosto, in un programma del canale statunitense CNN, il presentatore Fernando Del Rincón, oltre ad elogiare i gruppi armati della destra, ha esortato Murillo a dispiegare i militari nelle strade per mettere ordine, giacché i blocchi sarebbero “un crimine di guerra”. Quello è stato momento in cui Murillo ha affermato che “ficcare il proiettile sarebbe politicamente corretto” e che aveva le “ore contate” per “evitare una guerra civile”.

Per il momento la scalata non si ferma. Potrebbe fermarla una decisione del TSE di anticipare le elezioni e porre una data anteriore al 18 ottobre? Due consiglieri dell’istituzione martedì 11 hanno prospettato la necessità di riconsiderare la data in vista degli “attuali avvenimenti di conflittualità sociale che ogni giorno tendono ad aggravarsi”.

Lunedì 10 la Procura ha annunciato di aver accettato le denunce contro Morales, Arce, Choquehuanca e Huarachi per indagarli per terrorismo. Il tentativo di ottenere elezioni con garanzie si scontra non solo con i rinvii, ma anche con le persecuzioni e i tentativi di proscrizione.

Il continente e il mondo assistono al tentativo di un colpo di stato per mantenersi al potere. Come nei giorni del rovesciamento, molti dei grandi media oscillano tra il guardare da un’altra parte, ignorare la dimensione golpista della Añez ed equiparare gli attori, o di nuovo, come la CNN, appoggiare apertamente i golpisti. Qualcosa di simile avviene a livello diplomatico.

12/08/2020

Sputnik

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Marco TeruggiHoras críticas en Bolivia” pubblicato il 12/08/2020 in Sputnik, su [https://mundo.sputniknews.com/america-latina/202008121092391036-horas-criticas-en-bolivia/] ultimo accesso 24-08-2020

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