A sangue freddo


Antonio Caballero

Un generale dell’Esercito colombiano esprime pubblicamente la propria afflizione per la morte di un sicario del narcotraffico.

Nota di Rebelión: Il generale Eduardo Zapateiro, militante del Centro Democrático, acerrimo uribista e seguace a morte del presidente Duque, ha manifestato, angosciato, il proprio dolore per la morte del sicario di Pablo Escobar. Le condoglianze di Zapateiro, contestato per i suoi legami con i falsi positivi, per le minacce a membri dell’opposizione e dirigenti sociali, intercettazioni illegali, non è casuale. Come nemmeno è casuale che non lamenti la morte di centinaia di dirigenti sociali, dirigenti dell’opposizione, e attivisti di sinistra che tutti i giorni sono assassinati in Colombia. Questi sì, non sono colombiani, apparentemente. Questi non muoiono di cancro. Questi li uccidono. E li uccide gente come  Popeye, in alleanza con gli uomini di Zapateiro, come è stato comprovato nel caso di Dimar Torres nel Catatumbo.

Le condoglianze di Zapateiro riflettono semplicemente quello che tutti sappiamo: che il narcotraffico è parte integrante del blocco di potere in Colombia, e che sicari come Popeye sono una gioia preziosa nella corona dell’esercito e del governo. Zapateiro dimostra la mentalità da sicario della destra colombiana coniata in piena Violenza nelle famose e terribili parole del  Cóndor Lozano: “l’unico crimine è opporsi al governo, il resto sono stronzate”. Per Zapateiro le violenze sessuali di Popeye, le sue estorsioni devono essere state delle stronzate che gli si potevano perdonare per tutte le volte che premette il grilletto per difendere i ricchi della Colombia. E Zapateiro non è altro che il cane che difende con il piombo il proprio padrone, i ricchi colombiani. Per questo si è lamentato per la sua morte. Vi lasciamo ad un articolo con le riflessioni di Antonio Caballero, della rivista Semana, nel quale analizza l’impatto e la gravità delle dichiarazioni di un generale che dice addio ad un sicario con gli onori propri di uno statista.

A sangue freddo 

Antonio Caballero

Popeye, il peggiore dei sicari di Pablo Escobar, è morto di cancro senza aver manifestato il minimo pentimento per i suoi crimini. Ritratto di un assassino che ha segnato la Colombia.

Muore nel suo letto Popeye, il sanguinario capo dei sicari del sanguinario narcotrafficante Pablo Escobar, e tra i primi che inviano pubblicamente le proprie sentite condoglianze alla famiglia del defunto c’è il comandante dell’Esercito Nazionale, il generale Eduardo Zapateiro. Lo fa con solennità, in un imponente scenario di bandiere della Colombia e dell’Esercito, dicendo: “Oggi è morto un colombiano. Come comandante dell’Esercito, presento alla famiglia di Popeye le nostre sentite condoglianze. Lamento molto la dipartita di Popeye. Siamo esseri umani, siamo colombiani”.

Uno rimane stupefatto. “L’Esercito Nazionale, in capo del suo comandante dell’Esercito…” lamenta ufficialmente il decesso di un convinto e confesso assassino al servizio della criminalità organizzata, chiamandolo familiarmente con il suo soprannome, Popeye, come un vecchio compare, e dandogli l’addio come ad un personaggio di stato. Un “grande colombiano”?

Sì. Ma erano esseri umani colombiani anche i 300 assassinati con la sua stessa mano da Jhon Jairo Velásquez, alias Popeye, e i  540 poliziotti, dei quali “circa 25” uccisi da lui in persona, e i 107 passeggeri dell’aereo dell’Avianca che esplose in volo per una bomba posta dai suoi uomini, e gli altri 63 morti e 600 feriti del camion bomba contro l’edificio del DAS (Dipartimento Amministrativo di Sicurezza), e le centinaia di vittime delle oltre 200 autobombe ordinate dal suo capo, il narcotraficante Pablo Escobar, e i 3.000 in totale il cui assassinio “coordinò”, secondo la sua stessa confessione, per lui, il Padrone, che descriveva (in una intervista data a questa rivista quattro anni fa, quando dopo averne pagati 23 di carcere uscì in libertà per pena compiuta) come “un genio, un capo, un organizzatore di banditi e un grande sequestratore”. Anche se non come un assassino. Perché, rivelò Popeye, Escobar personalmente “non uccise più di 20 persone in tutta la sua vita”.

Poca cosa, è vero, di fronte alle centinaia di assassinii di Popeye, che inclusero -anche se non per sua iniziativa, ma per ordine del Padrone- quello della donna che amava e quelli di vari suoi amici intimi.

E i sequestri. Popeye fu, seguendo gli ordini del “grande sequestratore” Pablo Escobar, il primo esecutore dei sequestri politici che ci furono in Colombia, con quelli di Pacho Santos, figlio dell’allora padrone e direttore di El Tiempo, Hernando Santos, e Andrés Pastrana, figlio dell’ex presidente Misael Pastrana e futuro presidente lui stesso (in buona parte grazie al Comune di Bogotà che in quel momento gli dette la popolarità del suo sequestro).

Le condoglianze del generale Zapateiro possono essere sembrate a molti una confessione vergognosa della molte volte sospettata e varie volte comprovata complicità tra certi settori militari e i cartelli criminali del narcotraffico, e a molti altri semplicemente una imprudente gaffe; ed è possibile che al generale, in questi giorni che vengono, passato il primo impatto della luttuosa notizia, siano sfuggiti di bocca i toni con alcune scuse patriottiche. Ma non c’è dubbio che siano sincere. Nemmeno che il generale non sia l’unico che lamenta la morte del tenebroso malvivente. Perché la Colombia -e, come dice il generale Zapateiro, “siamo colombiani”- è piena di colombiani che sì, che ammirano anche gli organizzatori di banditi e gli assassini conservatori -di quelli che uccidono solo gente 20 per volta-; per non parlare dei potenti narcotrafficanti che oggi continuano ad essere le persone più ricche della Colombia, il cui affare può rappresentare, secondo quanto dicono i calcoli degli economisti, tra un 2 ed un 5 per cento del prodotto interno lordo del paese: il doppio di quello dei produttori di caffè. Un affare che gli permette di comprare, per semplice ammirazione spontanea o per denaro contante, le coscienze di giudici, di giornalisti, di militari, di politici, così come lo stiamo vedendo da 40 anni. E, certamente, di piloti di aereo, di poliziotti, di doganieri, di contadini produttori di coca e di raccoglitori di foglie della pianta di coca. Per questo la tomba di Pablo Escobar a Itagüí è sempre traboccante di fiori e di lettere d’amore ed è visitata da più pellegrini della santa madre Laura a Jericó o di quella del milionario Leo S. Kopp a Bogotà, che secondo quanto si dice distribuisce denaro. Lo stesso Popeye, dopo la sua liberazione trasformatosi in youtuber, era seguito in internet da un milione di persone. Quella del generale Zapateiro non è una gaffe: è un sintomo.

Popeye fu un orrore. L’enciclopedia online Wikipedia lo descrive schiettamente, nel paragrafo su quale fosse la sua “occupazione”, come un “sicario, assassino, narcotrafficante e violentatore”. Ma racconta anche le fasi della sua educazione giovanile, che non sembravano portarlo ad essere tutto questo: Nell’Accademia Toscana frequentò studi di manicure e pedicure, lavoro che sembrerebbe non gli piacesse e lasciò per quello di barbiere nelle botteghe di Medellín, dove per quel che si sappia non giunse a scannare nessun cliente. Dopo passò alla Scuola dei Cadetti della Polizia Nazionale, e finalmente finì al Sena (Servizio Nazionale di Apprendistato), già dal carcere, dove ottenne il diploma di “recuperatore ambientale”. Ma prima aveva sviluppato la sua carriera delinquenziale di successo accumulando cadaveri, come si è enumerato più sopra. Tra le sue vittime personali si contarono, secondo la sua confessione -o piuttosto, la sua iattanza- 25 poliziotti su un totale di 540 pagati da Escobar, la sua fidanzata preferita (anche se condivisa con il Padrone) e il suo migliore amico, il narcotraficante Quico Moncada. Sequestri, auto-bomba. E la sua colombianissima inclinazione ad ammirare i ricchi e potenti. Non solo il suo capo, il Padrone, ma anche i sequestrati famosi che sono stati in suo potere. Pastrana, che nella menzionata intervista a SEMANA lo definì dicendo, incredibilmente, “io sono molto rozzo e lui è molto intelligente”.

Il suo ritorno al crimine dopo la sua liberazione: solo per il piacere, non perché gli mancasse il denaro. Perché, come sappiamo, l’apparato della giustizia colombiana è incapace di recuperare il denaro sporco dei delinquenti, siano assassini di professione o semplici politicanti che fanno peculato. E la sua finale conversione alla politica rispettabile attraverso il rispettabile e rispettato Centro Democratico uribista, con la sua pubblicizzata e applaudita partecipazione ai cortei convocati da questo per il NO al referendum sulla pace e la sua militanza attiva nella campagna elettorale di Iván Duque, l’eletto destinato a “fare a pezzi” i patti che hanno fatto terminare il conflitto armato che ha devastato il paese durante l’ultimo mezzo secolo.

Dopo, già uscito dal carcere, tornò a cadere prigioniero per i delitti di estorsione, associazione a delinquere, minacce e incitazione all’odio.

Incitazione all’odio: leggendo queste imputazioni uno finisce con il pensare che con la morte di Popeye la politica colombiana termini perdendo una grande figura.

O se no, che lo domandino all’angosciato comandante dell’Esercito.

08-02-2020

Semana

tratto da Rebelión

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=265326

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Antonio Caballero, Un general del Ejército colombiano expresa públicamente su pesar por la muerte de un sicario del narco” pubblicato il 08/02/2020 in Semana, su [https://www.semana.com/nacion/articulo/popeye-perfil-de-antonio-caballero-sobre-un-asesino-que-marco-a-colombia/651271] ultimo accesso 18-02-2020.

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