Emanciparci dal “mandato di mascolinità”


Raúl Zibechi

L’antropologa Rita Segato analizza la violenza contro le donne sulla base del suo lavoro con persone abusate e con abusatori. A mio modo di vedere, si tratta di importanti apporti all’emancipazione delle donne, ma incarna anche una sfida a noi maschi che non vogliamo ripetere meccanicamente il “mandato di mascolinità” che ci impone il modello patriarcale-coloniale.

In diversi lavori ed interviste sostiene che il mandato di mascolinità è “il mandato di dover dimostrare di essere uomo”. Questo porta i maschi alla disperazione per non poter rispettare il proprio “obbligo”, per “mancanza assoluta di potere e di autorità a cui li sottopone la bastonata economica che stanno subendo, una bastonata di non poter essere non potendo avere”.

La Segato sostiene che la vendetta mascolina (non lo dice con queste parole) si risolve in violenza dura e pura, di fronte alle frustrazioni che non sono solo sessuali, ma che colpiscono “anche la potenza bellica, di forza fisica, economica, intellettuale, morale, politica”. Le ragioni bisogna cercarle nel neoliberalismo, dove queste potenze stanno venendo concentrate “da un gruppo molto piccolo di persone”.

Chiarisco che nulla di questo implica la tolleranza della violenza maschilista, né di ammorbidire la condanna dei femminicidi. Si tratta di comprendere come la perdita di rispetto del maschio verso sé stesso, lo porta a situazioni di violenza, fatto che presuppone l’adozione di un atteggiamento profondamente anticapitalista, antipatriarcale e anticoloniale.

Un recente reportage del The New York Times sull’ultra destra tedesca, riflette tutti questi problemi. Il lavoro si intitola “Gli uomini che hanno perso le donne: i votanti dell’ultra destra in Germania” e chiarisce come la dissoluzione dell’antica Repubblica Democratica Tedesca ha condotto alla crescita dell’ultra destra tra i maschi.

Il partito ultra Alternativa per la Germania (AfD), ha avuto il 13% dei voti nelle elezioni dell’anno passato. Ma nell’est duplica questa percentuale e tra i maschi dell’est sta sfiorando il 30%. Per loro la grande nemica è la cancelliera Angela Merkel, perché è “una donna che è anche dell’est ed è ascesa in cima al potere”, fatto che “gli ricorda il loro proprio fallimento”.

Qui si uniscono due fenomeni. Dopo la riunificazione, gli uomini dell’ovest vestiti con la giacca e con auto Mercedes Benz giungevano nell’est a dirigere affari, università, uffici del governo, “a dirigere tutto”. Si persero tre milioni di posti di lavoro mentre molte donne li abbandonarono, e questo è il secondo problema. “Il comunismo ebbe successo nel creare un’ampia classe di donne indipendenti, emancipate, spesso con più studi e con un lavoro nei servizi, più versatili degli uomini dell’est”, dice il reportage.

Del 10% della popolazione che se ne è andata dall’est, i due terzi sono state donne. “Le regioni da dove sono scomparse, queste si situano quasi esattamente nelle regioni che attualmente votano per Alternativa per la Germania”. La sproporzione tra maschi e donne è enorme: due donne per ogni tre uomini tra i 22 e i 35 anni.

Una delle conseguenze di questo scombussolamento è quello che commenta Petra Köpping, ministra per l’integrazione in Sassonia: “Nell’est abbiamo una crisi di mascolinità e sta alimentando l’ultra destra”.

Queste realtà stanno succedendo in molte regioni del mondo. Un amico traduttore greco, buon conoscitore della Russia, afferma che molti giovani maschi si sono buttati nell’alcolismo dopo la caduta dell’Unione Sovietica, al punto che “una gran parte sono impotenti a 35 anni e odiano le donne”.

Il punto a cui voglio giungere è la necessità di liberarci del “mandato di mascolinità”. Come si fa? Non ho la minima idea, ma la prima cosa è accettare che è un passo necessario, imprescindibile, che non comporta di smettere di essere maschio ma qualcosa di molto più profondo: aprirci all’incerto, lasciare il luogo della certezza e camminare a tentoni verso qualcos’altro che ancora non conosciamo.

Forse un buon inizio è liberare la donne che noi maschi abbiamo dentro, come diceva lo scrittore e militante argentino Manuel Puig. Leggete il romanzo “Il bacio della donna ragno”, dove convivono in una stessa cella un militante di una organizzazione rivoluzionaria e un maschio omosessuale effeminato. Potete anche ridere del ruolo del maschio rivoluzionario, ossia prendere una distanza critica da quello che siamo stati e in gran misura siamo ancora. Di passaggio, dire che questo romanzo fu rifiutato da vari editori europei, perché lo considerarono immorale (fu nel “rivoluzionario” decennio del 1970).

Quello a cui punto è che l’emancipazione, in qualsiasi luogo e condizione, è fondamentalmente una questione di sensibilità, di sentire il dolore delle altre e degli altri come se fosse il proprio, come disse il Che. Non si tratta di seguire una linea né di agire in base a letture o del politicamente corretto.

L’emancipazione parte dal cuore, dai sensi, e dopo può essere concimata con letture e militanze. È un processo sempre doloroso e incompiuto, nulla di piacevole ma vitale. Come la vita medesima.

12 novembre 2018

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Raúl ZibechiEmanciparnos del mandato de masculinidad” pubblicato il 12/11/2018 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/emanciparnos-del-mandato-masculinidad/] ultimo accesso 23-11-2018.

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