Autonomia, insubordinazione e movimento radicale mapuche in Cile


Gilberto López y Rivas

Il libro di César Enrique Pineda, Arde el Wallmapu: autonomía, insubordinación y movimiento radical mapuche en Chile (Arde il Wallmapu: autonomia, insubordinazione e movimento radicale mapuche in Cile), UNAM-CIALC-Bajo Tierra edizioni (2018), è singolarmente rilevante nell’ambito delle indagini sui movimenti sociali, i popoli originari e i processi autonomisti; costituisce un rigoroso, fondato, impegnato e riuscito sforzo teorico-empirico di addentrarsi in una delle esperienze di lotta indigena più coerenti del continente: il Coordinamento Arauco-Malleco (CAM), movimento del popolo mapuche che, tra il 1997 e il 2003, è stato protagonista di un processo di disputa delle terre ancestrali e di rivendicazione di autodeterminazione e autonomia, in un intenso scontro con lo stato cileno, i latifondisti e le compagnie transnazionali.

Il lavoro, dichiara Pineda, si propone di “recuperare, sistematizzare e narrare la storia… (di) un attore collettivo sommamente polemico con lo stesso movimento mapuche come con l’intellettualità cilena; un soggetto demonizzato dai mezzi di comunicazione, catalogato come terrorista, gruppo radicale o sovversivo, dallo stato e dai gruppi dominanti del Cile”. Si cerca di “comprendere i complessi processi di produzione di ribellione e insubordinazione, così come la sua successiva stabilizzazione e disciplinamento”, giacché lo stato cileno, risponde a questo movimento, “con un aggressivo e sofisticato processo di disarticolazione, di contenzione, di controrivoluzione sociale e repressiva che, tra il 2003 e il 2209, avrebbe provocato la riduzione e l’indebolimento della mobilitazione mapuche e, successivamente, la chiusura del ciclo di lotta per la terra e l’autonomia”.

Il libro inizia con un prologo del nostro collega Raúl Zibechi, che è, per sé stesso, un riconoscimento del coraggioso apporto di Pineda; “un lavoro di anni”, afferma, “nel quale l’esperienza diretta, la conoscenza delle persone, delle comunità e geografie, è uno degli aspetti più notevoli di un’indagine impegnata e assolutamente neutrale”.

Pineda chiarisce la componente testimoniale della sua opera, “che è spiegata da un approccio socio-storico costruito a partire da lunghe e numerose interviste realizzate con prigionieri mapuche nel carcere e con attivisti intervistati nelle loro comunità, il quale è in contrasto e dialoga con quanto espresso da vari storici e specialisti cileni”. A quello si aggiunge, un’estesa indagine emerografica e le relative interpretazioni teoriche che forniscono la base analitica di quanto indagato, “da dentro, dalla lotta sociale, dalla prospettiva di quelli in basso”.

A partire da diversi processi autonomisti in America Latina, concordiamo sul senso che “la lotta per la terra, il territorio e i beni naturali, così come l’autodeterminazione, l’autoregolazione sociale e l’autonomia, sono lotte decisive del nostro tempo”. Allo stesso tempo, che “i popoli originari sono il cuore di numerose alternative antisistemiche e che, nei passati 20 anni, hanno dimostrato un’enorme capacità di essere soggetti, di costruzione di un progetto alternativo e di resistenza di fronte al saccheggio, al disprezzo e al colonialismo interno”. La prova, nel nostro paese, è costituita dal processo politico iniziato dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, a partire dal 1994, e dalle sue permanenti proposte di articolazione delle lotte anticapitaliste.

Ugualmente, molto centrate le riflessioni finali nel senso che: “le trame di parentela, le relazioni, affettive, etno-produttive, spirituali, simboliche e materiali, basate sulla forma sociale ‘comunità’, stanno attivandosi e riattualizzandosi con i progetti politici indigeni, come resistenza e freno alle invasore relazioni espansive della forma sociale ‘capitale’, ma anche come aspirazione e pratica emancipatoria”. Totalmente d’accordo sul fatto che, nei processi autonomisti contemporanei, i soggetti che sono stati protagonisti subiscono delle “vere metamorfosi” nelle loro relazioni sociali, che li potenziano come soggetti di cambiamento, come soggetti politici “altri”.

Parallelamente, risulta benefico il suo avvertimento a non idealizzare questi processi. “Molte volte, -segnala l’autore-, il tessuto organizzativo di questi movimenti si trova ostacolato dal colonialismo ideologico, da numerose contraddizioni subalterne, da limiti ed errori pericolosi; in certe occasioni, da settarismo, essenzialismo e millenario fondamentalista; da una profonda fragilità delle sue strutture di fronte alla guerra, alla repressione o alla cooptazione”. Su quest’ultimo, è possibile osservare, anche nel nostro paese, organizzazioni ed intellettuali che hanno scelto di appoggiare la politica neoindigenista del prossimo governo, che si concretizzerà nell’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni.

In un ambito accademico egemonizzato dal produttivismo divisionista ed estrattivista, è gratificante che si pubblichino libri per la lotta dal basso e a sinistra.

2 novembre 2018

La Jornada

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Gilberto López y Rivas, Autonomía, insubordinación y movimiento radical mapuche en Chile” pubblicato il 02/11/2018 in La Jornada, su [https://www.jornada.unam.mx/2018/11/02/opinion/018a2pol#] ultimo accesso 08-11-2018.

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