Il grido di Matambo


“Che faresti se un giorno venissero a casa tua e ti dicessero che sarà sommersa?”.

Il soggetto

Gigante è un piccolo paesino popolato da agricoltori. Il nome deriva da una leggenda che parla di un gigante di cui si può indovinare il profilo del volto, che guarda le nuvole disteso sulla cordigliera. Al mio arrivo mi è stata posta una domanda, che frantumava qualsiasi altro ragionamento politico, economico o giuridico e colpiva dritto al cuore il problema che si stava vivendo nella zona. “Che faresti se un giorno venissero a casa tua e ti dicessero che sarà sommersa?” E’ già, che faresti? Chiederei, mi informerei, mi arrabbierei, mi difenderei con le unghie e con i denti.

Siamo in Colombia, nella valle del Magdalena, il fiume che ha ospitato le inquietudini amorose di Florentino Ariza raccontate da Gabriel Garcia Marquez nell’Amore ai Tempi del Colera, nel cuore del continente, una regione che si chiama Huila.

Qui, per dar vita a un enorme progetto idroelettrico verranno sommersi 8.500 ettari di terra, tra cui boschi secchi equatoriali, ricche coltivazioni di riso, manioca, cacao, papaya, mango, vestigia dei popoli che abitavano quelle terre prima che l’avventura di Colombo si trasformasse in genocidio. Ma anche case, sogni, progetti di vita e storie di lotte agrarie.

Nulla vale come un affare che, mascherato da sviluppo, non cessa di mostrare la sua faccia da saccheggio.

L’idea del progetto risale agli anni ’70, miraggio di benessere per un paese che non riusciva a uscire dalla guerra civile, ma viene accantonata. Viene ripresa nel 1997, ma il Ministero dell’Ambiente di allora la dichiara infattibile, per via degli eccessivi costi economici e sociali che la sua realizzazione avrebbe comportato al paese, in quanto la zona dove sorgerebbe il bacino idrico ospita una agricoltura e un allevamento floridi, che garantiscono benessere ai suoi abitanti e al paese intero. Una meraviglia che non conviene mutare.

10 anni dopo, il governo di Alvaro Uribe Velez cambia idea: il progetto risponde alla politica di aumento delle esportazioni di risorse naturali ed energia e si conforma alla necessità di aprire agli investimenti stranieri. La diga si farà perché sì, spiega esaustivamente il presidente Uribe.

Nel 2008 Endesa, il colosso spagnolo della produzione e distribuzione di energia in tutta America Latina nonché principale gestore in Colombia vince l’appalto del progetto idroelettrivo El Quimbo ed inizia i lavori prima di avere i permessi corrispondenti, ovvero la licenza ambientale, un documento emesso dal Ministero dell’Ambiente che, dopo una valutazione degli impatti ambientali, economici e sociali, decide se il progetto si può fare e quali sono le riparazioni e le misure di protezione nei confronti dell’ambiente e della popolazione locale a carico della impresa costruittrice.

Nel 2009 viene concessa la licenza ambientale, stabilendo una serie di indennizzazioni per i danni causati all’ambiente e ai cittadini sfollati, tra cui la riubicazione e il trasferimento delle attività economiche in luoghi differenti. Nello stesso anno l’impresa italiana Enel assume il controllo di Endesa acquistando il 92% del pacchetto azionario.

L’anno successivo Endesa, sostenendo che le condizioni dettate dalla licenza ambientale siano eccessive sollecita la rinegoziazione degli accordi. Le nuove indennizzazioni sono irrisorie rispetto a quelle previste inizialmente sulla base delle quali era stato approvato il progetto. Gli abitanti della zona vedono così sfumare le promesse che l’impresa spagnola aveva inizialmente fatto loro, che li avevano convinti dei certi benefici che avrebbero ricavato con la costruzione della diga idroelettrica.

Nonostante il contenzioso sia aperto e legittimato dagli organi di controllo, il governo colombiano ha già deciso e manifesta la sua determinazione con due provvedimenti: dichiara la zona di interesse pubblico, esponendo gli abitanti allo sfollamento forzato e costituisce un battaglione speciale dell’esercito, che prende militarmente possesso della zona dove sorgerà la diga.

Gli abitanti della valle decidono quindi di protestare, mediante manifestazioni pacifiche e assemblee, mentre allo stesso tempo ricorrono al Tribunal Amministrativo Regionale del dipartimento di Cundinamarca che dà loro ragione, imponendo all’impresa e al Ministero dell’Ambiente la revoca delle modifiche alla licenza ambientale, in quanto il ministero non dispone giuridicamente della facoltà di conciliare con le controparti. I permessi ambientali e le indennizzazioni, dice il tribunale di Cundinamarca, sono materia tecnica determinata da valutazioni scientifiche specialistiche, non sono oggetto di negoziazione.

Endesa minaccia l’interruzione del progetto ma, sul finire del 2010, pochi giorni prima di lasciare il suo incarico all’attuale presidente Juan Manuel Santos, interviene Alvaro Uribe, emettendo un decreto che permette la rinegoziazione delle licenze ambientali.

Il 24 febbraio del 2011 viene collocata la prima pietra dell’operazione Quimbo. Da allora le comunità non hanno cessato di protestare, di presentare ricorsi, di animare dibattiti dentro e fuori del parlamento della Repubblica. Per alcuni mesi i lavori sono stati sospesi dalle autoritá ambientali locali, in quanto Enel e Impregilo (l’impresa costruttrice) non rispettano le misure di protezione dell’ambiente e della popolazione locale che loro stesse hanno negoziato con il Ministero, sfollando contadini e pescatori senza dar loro un’alternativa e contaminando gravemente il Rio Magdalena. Ma queste sospensioni si scontrano con la volontà preconcetta dell’esecutivo che le revoca ignorando le raccomandazioni delle stesse autorità ambientali e di protezione dei diritti umani.

Il progetto del Quimbo è stato e resta palesemente inattuabile, come affermato nel 1997 dalle autorità ambientali colombiane, perché minaccia una riserva forestale di protezione dell’Amazzonia, perché si costruisce in una zona che l’istituto colombiano di geologia ha dichiarato ad altissimo rischio sismico (Ingeominas, decreto 33 del 1998), perché sfollerà e farà perdere il lavoro a più di 2000 persone.

L’università SurColombiana ha stimato che nel corso dei 50 anni di produttività dell’impianto idroelettrico El Quimbo, Endesa pagherà al Huila circa 135 milioni di euro, contro i 480 milioni di euro che la regione perderà per la cessata produzione agricola dell’area inondata. Nello stesso periodo la multinazionale italospagnola guadagnerà 2294 milioni di euro. L’energia prodotta non sarà destinata a soddisfare le necessità interne del paese ma all’esportazione.

Sebbene i tre anni previsti per la costruzione della idroelettrica impiegheranno circa 3000 persone (a fronte della perdita di 2000 posti di lavoro), per la manutenzione prevista per i 47 anni successivi non saranno necessari più di qualche decina di tecnici.

Il progetto idroelettrico El Quimbo risponde al programma economico che il governo di Juan Manuel Santos, in continuità con il suo predecessore, chiama locomotrice mineraria-energetica: agrocombustibili, miniere di oro e carbone, estrazione di petrolio e produzione di energia elettrica sarebbero i motori della crescita economica colombiana.

La storia non riporta esempi in cui l’economia di estrazione abbia portato allo sviluppo e al benessere di un paese, specie se accompagnato dall’apertura del mercato colombiano alle importazioni straniere mediante la firma di trattati di libero commercio con potenze industriali internazionali come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che termineranno per schiacciare qualsiasi settore produttivo nazionale.

Il progetto idroelettrico del Quimbo rappresenta lo scontro tra due modelli: uno incentrato sull’agricoltura, la pesca e l’allevamento, compatibile in buona parte con l’ambiente, portatore di benessere per gli abitanti della regione, riconosciuta dispensa agricola di un paese la cui sicurezza alimentare vacilla e che ha dovuto conoscere negli ultimi 10 anni la minaccia della fame; l’altro è un modello estrattivista, insostenibile socialmente, ambientalmente ed economicamente.

Il 10 novembre del 2011 Asoquimbo, l’associazione che riunisce i futuri sfollati del progetto idroelettrico, ha lanciato il suo ultimo appello ricordando di aver portato avanti le proprie motivazioni pacificamente e con determinazione, con argomenti validi, confidando nelle leggi dello stato di diritto che formalmente vige in Colombia. La forza della ragione si è scontrata con la ragione della forza. Dopo anni di estenuanti battaglie per far valere i loro diritti, gli abitanti della regione hanno affermato che se entro la fine dell’anno lo stato non fermerà la costruzione della diga la fermeranno loro, con altri mezzi, questa volta non pacifici, non legali.

Il conflitto che si manifesta nell’Huila rappresenta in un certo modo il conflitto sociale e armato che la Colombia vive da mezzo secolo. L’impossibilità di far valere il proprio dissenso in maniera pacifica finirà per mettere la gente di fronte al bivio: abbassare la testa di fronte all’ingiustizia o ribellarsi, con le implicite conseguenze che questa scelta comporterebbe.

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