Per disarmare l’ELN


Un membro della guerriglia dell’Eln a Río Verde (Antioquia).

Víctor de Currea-Lugo

Verso un negoziato di pace.

Aspetti come le garanzie reali di partecipazione politica non possono ridursi a dichiarazioni né a norme.

Disarmare qualcuno non è solo, letteralmente, togliergli le armi, ma anche, metaforicamente, togliergli gli argomenti (e in questa battaglia di argomenti dico qui, come contributo alla pace, ciò che credo che pensi l’ELN).

I rappresentanti di Amnesty International sono soliti dire che gli piacerebbe chiudere i propri uffici perché non ci sono più violazioni dei diritti umani. Come dire, il miglior modo di “mettere fine” alle ONG dei diritti umani non è assassinando i loro membri, ma prevenendo violazioni della dignità delle persone.

L’ELN ha detto, sue parole, che obbedirà alla società e riconoscerà la volontà popolare. Questa dichiarazione è la chiave per sbrogliare il processo con questo gruppo e per garantire il suo esito finale. L’ELN sarà disposto a obbedire?

Lo stato, parte sua, dice che il modello di negoziato passa attraverso l’abbandono delle armi al momento della firma degli accordi, perché “questa è la consuetudine”, ma non c’è un modello standard di come si debba fare la pace e si può innovare nella misura in cui il processo lo richieda.

La partecipazione politica

La partecipazione politica non è una bandiera esclusiva degli insorti: è nella Costituzione del 1991 e nelle cause del conflitto. Ciò che oggi si tratta con le FARC su questo tema, essenzialmente, non va al di là della Costituzione. Il problema della partecipazione non è di riconoscimento giuridico, ma di reali condizioni materiali.

Quando l’ELN dice di voler tutelare, con le armi, certi spazi politici, non è perché crede che la gente sia immatura politicamente, ma perché sa che la gente viene uccisa a causa dell’opposizione che fa e loro si ergono quali suoi difensori, pensano che una delle garanzie sia conservare le armi fino a quando non cambieranno le condizioni.

I rapporti sulla presenza del paramilitarismo (e/o dei suoi eredi politici) alle prossime elezioni sono allarmanti; come dire, si mantiene uno schema dentro il quale la guerra non è la continuazione della politica (come direbbe Carl von Clausewitz), ma in Colombia queste due dinamiche si accompagnano, in una perversa combinazione di forme di lotta che è conosciuta come parapolitica.

I paramilitari continuano ad essere un rilevante potere locale, uno strumento ancora presente nell’amministrazione della polis, che è precisamente la politica. E questi paramilitari e i loro capi non sembra che rispetteranno una proposta di partecipazione politica dell’ELN.

Allo stesso modo, gli arresti effettuati a Bogotà sembrano più un caccia alle streghe per cercare di inviare un messaggio di persecuzione alla sinistra legale (come è avvenuto in decine di casi in Arauca, sotto il governo di Uribe), messaggio che è letto come la criminalizzazione dell’esercizio della politica da parte degli oppositori e che, alla fine, smonta le speranze in una pace che apra la porta alla partecipazione senza armi.

Le trasformazioni

Quando l’ELN dice trasformazioni necessarie per la pace, non credo che stia pensando solo al ponte di tavole sul fiume della frazione, né all’acquedotto municipale. Per queste soluzioni, mediatiche e piccole, ci sono i consigli comunitari di Uribe: distribuire piccole cose.

Risulta pericoloso il così seducente discorso della pace territoriale che nasconde, tra le altre cose, la divisione dei compiti della pace in piccoli compartimenti chiamati regioni, senza risorse per portare avanti quanto concordato, con il conseguente problema che il locale deve assumersi l’acquedotto municipale, mentre la politica nazionale energetica (che non si maneggia nel locale) non si discute perché “la pace è una cosa regionale”.

Se le trasformazioni sono solo piccole opere, che per altro fanno parte del debito sociale dello stato e di minimi vitali basilari, non si intende nemmeno il significato stesso della parola trasformazione. Il sociale ridotto a fare cosette e non una politica integrale, che recuperi la nozione dello Stato Sociale, è esattamente ciò che enuncia il Piano Nazionale di Sviluppo, che va in direzione contraria a ciò che le comunità intendono per pace.

Le armi

Le armi sono un elemento di tensione in ogni processo negoziale. E la tendenza generale, osservata in casi come El Salvador o il M-19 in Colombia, è che solo avanzando nel processo si riconsidera la posizione iniziale di non voler abbandonare le armi.

C’è un errore che è voler chiudere nella fase preliminare ciò che è proprio del tavolo formale. Questo, nel contesto dell’abbandono delle armi, porterebbe il Governo a suggerire all’ELN di consegnare le armi prima delle riforme, mentre l’ELN direbbe per prima cosa le riforme. Ci sono varie velocità dentro un processo di pace e si tratta che si assestino.

Un minimo di trasformazioni (che l’ELN dovrebbe dire chiaramente al paese quali sarebbero) garantirebbe uno spazio per la costruzioni della fiducia affinché le armi smettano di essere un fattore inamovibile. La cosa necessaria è dare, in modo serio, risalto a questa verifica, passando da un ELN armato ad un accompagnamento internazionale e/o della società locale, con reali capacità di supervisione e controllo di quanto firmato.

Concludendo

Tutto questo implica che aspetti come le reali garanzie di partecipazione politica non possono ridursi a dichiarazioni né a norme. Il messaggio per disarmare l’ELN potrebbe passare attraverso alcuni temi come il paramilitarismo, la dottrina militare, i crimini commessi dalla Forza Pubblica, la protezione dei dirigenti comunitari, la parapolitica, ecc.

Nel 2011, Mohamed VI, re del Marocco, ebbe una impressionante capacità politica di fronte alla nascente rivolta araba contro di lui, superando con le sue riforme le proposte dell’opposizione, lasciandola senza bandiere e disarmandola. Le elite potrebbero disarmare l’ELN in questo modo, e vincerebbe lo stato, vincerebbe la società e perfino l’ELN. Diceva Sun Tzu, nell’Arte della Guerra, che “i veramente abili nella guerra, vincono l’esercito nemico senza combattere”, ma l’arroganza delle elite colombiane non permette di comprendere questo.

Ironicamente, possiamo dire che questa vecchia idea della dottrina della sicurezza nazionale di togliere l’acqua al pesce, sarebbe efficace se le elite intendessero che l’acqua non è la popolazione civile, ma le sue agende di insoddisfazione.

14 Agosto 2015

El Espectador

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
Víctor de Currea-Lugo, “Para desarmar al ELNpubblicato il 14-08-2015 in El Espectador, su [http://www.elespectador.com/noticias/paz/desarmar-al-eln-articulo-579066] ultimo accesso 18-08-2015.

 

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